Il Labirinto: il mito - Le Opere di Claudio Franchino

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Il Labirinto: il mito

Quadri > Il Labirinto
Prima di addentrarci sul significato del labirinto come simbolo, facciamo un po’ di riassunto del mito.
C’era una vota un Re, Minosse, che regnava su Creta e dintorni, molto contento del proprio operato, decise che era venuto il momento che anche gli dei lo apprezzassero, inviandogli un pegno in segno di approvazione. Così, detto fatto, pregò Poseidone, il dio del mare, di inviargli in dono un toro da sacrificare. Poseidone, fidandosi di Minosse, acconsentì e gli donò un possente toro bianco, un animale di così grande bellezza e valore che quando Minosse lo vide decise di tenerselo per sé e ne sacrificò un altro. A quel punto la stima di Poseidone nei confronti di Minosse raggiunse il minimo storico, e il, dio, adirato, decise di agire con una certa arguzia e perfidia, e così, per punire Minosse, spinse Pasifae, la moglie di Minosse, ad innamorarsi perdutamente del toro stesso, tanto da desiderare di unirsi sessualmente con la bestia. Certo, non era un’impresa da poco farsi montare da un toro, così Pasifae chiese consiglio all’ingegnere di corte, Dedalo, che per riuscire a soddisfare la bramosia sessuale della Regina costruì una sexy giovenca di legno al cui interno nascose la fanciulla. Il toro non seppe resistere a così tanta bellezza e disponibilità, e senza indugi si unì alla creatura di legno, penetrando anche Pasifae. Dalla loro unione nacque il Minotauro, un ibrido, metà uomo metà bestia, con il corpo umanoide e bipede, ma aveva zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro, e proprio per questa sua peculiarità, avendo la testa di una bestia, era di carattere selvaggio e feroce, con la mente completamente dominata dall'istinto animale. Minosse, cornuto e maziato, decise di far rinchiudere quell’abominio, delegando a Dedalo la costruzione del Labirinto.
Nel frattempo, Androgeo, il figlio di Minosse, giunse ad Atene per misurarsi con i giovani ateniesi nei giochi tauromachici, ma morì ucciso dagli ateniesi stessi, infuriati perché aveva vinto troppo ai loro giochi disonorandoli. Allora Minosse, pazzo di dolore per  la morte del figlio, decise che ogni nove anni gli ateniesi dovevano pagare un terribile tributo: sette giovani fanciulli e sette vergini sarebbero state inviate in sacrificio a Creta, da offrire in pasto al Minotauro, che si cibava di carne umana. Teseo,figlio Egeo, il sovrano di Atene, da grande eroe qual’era, decise di interrompere quella pratica, fermando il Minotauro. Così si nascose tra i giovani per potersi introdurre nel labirinto. Arrivato a Creta il nostro bell’eroe rimase abbagliato dalla bellezza di Arianna, la figlia di Minosse, e questa, ricambiandone l’attenzione, decise di aiutarlo, chiedendo consiglio a Dedalo. E così, all’entrata del labirinto, Arianna diede a Teseo una spada avvelenata e il celebre "filo d'Arianna", un gomitolo da srotolare dietro di sé man mano che avanzava nel labirinto e da riavvolgere per ritrovare la via d’uscita. Quando Teseo giunse al centro del labirinto, dinanzi al Minotauro, lo affrontò e lo uccise con la spada. Naturalmente i patti erano che, sconfitto il mostro, Teseo avrebbe sposato Arianna e l’avrebbe portata via da quella famiglia così particolare, salpando per Atene. Ma invece, Teseo, presa la via del ritorno per Atene con Arianna, approfittando di un momento di relax della fanciulla, l’abbandonò addormentata sull’isola di Naxos. Arianna, rimasta sola, iniziò a piangere, ma per fortuna passava da quelle parti il dio Dioniso, che non si fece perdere l’occasione e decise di prendersi in moglie Arianna. Come dono di nozze Dioniso offrì ad Arianna una meravigliosa corona d'oro, opera di Efesto, che alla sua morte, venne mutata dal dio in una costellazione splendente, la costellazione della Corona. Intanto Teseo, lasciata Arianna, prese la direzione di casa, ma nella confusione si dimenticò di cambiare le vele nere con quelle bianche. Bisogna sapere che suo padre Egeo, prima della partenza, si era raccomandato di portare due gruppi di vele, e di montare al ritorno le vele bianche in caso di vittoria, mentre, in caso di sconfitta, egli avrebbe dovuto issare quelle nere. Egeo, vedendo all'orizzonte le vele nere, credette che suo figlio fosse stato divorato dal Minotauro e così si uccise gettandosi nel mare, che dal suo nome fu poi chiamato Mar Egèo. Intanto Minosse, adirato con Dedalo per l’aiuto offerto a Teseo e prima ancora a Pasifae, decise, di far rinchiudere Dedalo con il figlio Icaro nel labirinto. Ma Dedalo, ingegnoso come sempre, costruì con delle penne due paia d'ali e le attaccò ai loro corpi con la cera. Purtroppo durante il volo Icaro si avvicinò troppo al sole ed il calore fuse la cera, facendolo cadere in mare. E qui finisce il racconto…
Ora però domandiamoci una cosa, cos’è il labirinto?
Innanzi tutto è un disegno geometrico, più o meno complesso.
Il labirinto come segno grafico ha un’origine che si perde nella notte dei tempi, fin dalla preistoria è possibile rinvenire disegni che si rifanno al labirinto, ma non quello a cui siamo abituati noi ora, che è di origine più rinascimentale, per intenderci, quello in cui è possibile perdersi, che contempla bivi e vicoli ciechi, ed è detto multiviario o multicorsale. Quello primitivo, forse dell’età del bronzo, è un segno simile alla spirale, che delinea un unico percorso involuto che conduce inevitabilmente dall'esterno al suo centro e viceversa ed è detto univiario o uni corsale. Alcuni studiosi dicono che questo disegno a spirale rappresenti le circonvoluzioni dell’intestino degli animali usati come mezzo divinatorio, altri dicono che la forma si rifà ad un tipo di danza i cui partecipanti ruotavano a spirale fino al centro dove si trovava una fanciulla vergine, in generale gli studiosi fanno risalire questa spirale al tema del viaggio verso gli inferi e quindi al tema del confronto con la morte. Successivamente il simbolo a spirale si è arricchito giungendo all’età classica alla forma ripresa dal labirinto di Creta, il dedalo di Minosse, sempre di tipo univiario, ma composto da sette volute, o cerchi. Il percorso dall'esterno raggiunge subito la terza voluta, quindi viene deviato sulla prima e più esterna, per poi avvicinarsi progressivamente al centro. Un unico percorso da fuori a dentro e viceversa, avvolto su se stesso, dove gli opposti coincidono. In età mediovale  con l’avvento del cristianesimo il labirinto avrà una funzione di cammino spirituale,  di remissione dai peccati, anche raffigurati tramite i protagonisti dell’antico mito, così la moglie di Minosse Pasifae, madre del minotauro, sarà un simbolo della lussuria, e il minotauro il figlio del peccato, il demonio. Il pecorso monocursale sarà la retta via offerta dalla Chiesa, l’unica via utile per raggiungere la beatitudine.
Con il Rinascimento,  il labirinto evolverà in forme multi viarie e l’uomo rinascimentale non più in cerca di salvezza si addentrerà nel labirinto per fare un’esperienza esplorativa individuale, per confrontarsi coi suoi limiti. Solo più tardi il labirinto evolverà in un simbolo che richiama gli intricati percorsi della vita, con le sue brusche giravolte e i suoi percorsi misteriosi, che celano trappole e angoli bui, dove ci si può perdere per non trovarsi più o semplicemente si può percorrere per ore un percorso, sicuri di stare a seguire la strada giusta, per accorgersi, poi, dopo tanto camminare, che ci si ritrova al punto di partenza, senza avere concluso granché. Un po’ l’angoscia dell’uomo moderno e la sua incertezza, abbandonata la cieca fiducia nello spirituale, tradito dalle aspettative della ragione, che non riesce a stare al passo con lo sviluppo del mondo, l’uomo moderno vive in una fase di incertezza, alla ricerca di una strada sicura da percorrere, ma soprattutto alla ricerca di Sé. E così, in età moderna, con l’avvento della psicologia, il labirinto diventa non più tanto un confronto con la morte/vita, né col caos e l’origine/ordine divino ma con il lato più oscuro di noi, il nostro inconscio, la zona d’ombra.
Il labirinto come viaggio interiore,  confronto con le proprie paure, con le proprie ombre, con i lati più nascosti e bestiali della personalità, le paure dell’animale uomo e la sua incertezza su che strada prendere.    
Così il minotauro figlio di Minosse ne sarà la personificazione del lato ferinico, che si vuole nascondere, tenere celato e di cui è impossibile liberarsi. Il filo di Arianna sarà il filo dei ricordi, dei pensieri, da riavvolgere per riuscire ad uscire dalla trappola dell’inconscio per far luce con la ragione, tramite Teseo, l’aspetto razionale, l’animus. Ma non si esaurisce tutto qui, diversi autori si sono avvicinati a questo archetipo cercando di svelarne tutta la potenza simbolica, ma ogni tentativo porta a riorganizzare tutto il discorso arricchendolo di contenuti in un fluire ininterrotto di rimandi, così Arianna diventa la sfida nei confronti dei genitori, un esempio di guerra generazionale, Teseo invece, che dimentica di issare le vele giuste, dimentica Arianna sull’isola, dimentica la strada del ritorno, se non aiutandosi con il filo, diventa allora un esempio di quello che in psicoanalisi è chiamato rimozione, e che sta proprio alla base dell’origine dell’inconscio, l’eroe è allora colui che affronta il viaggio cercando di fare emergere questi contenuti, attraverso il racconto. Ma tra i molti interrogativi che possiamo porci uno merita particolare attenzione: qual è l’uscita del labirinto? In effetti, la forza primigenia profondamente radicata in sé ha permesso a questo segno iconografico di significare un’idea archetipica universale e assoluta. Il labirinto evidenzia cioè, nella sua stessa forma figurale, quell’itinerario mentale che ha accompagnato l’uomo nella storia e nel suo tortuoso cammino di conoscenza e come tale ci accompagna nella storia, nel divenire. Saremo in grado di fare tesoro del suo carico di esperienze?

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